C’è qualcosa di interessante nello scambio di tweet fra Jim Carrey e Alessandra Mussolini.
Lui riporta un fatto di storia, citando la fine che ha fatto il fascismo.
Lei riporta un fatto di ora, perpetrando il malcostume hater del narcisismo da tastiera.
Senza star qui a dire chi abbia torto o ragione (immagino non debba essere bello neanche per lei vedere la vignetta del proprio nonno a testa in giù), mi colpisce più di tutto l’immediatezza dei social.
Quando mai, con tutto il rispetto, la Mussolini avrebbe interagito con Jim Carrey?
E lo stesso vale per noi: commentiamo Verdone, ci facciamo i cazzi dei Ferragnez, insultiamo il politico opposto al nostro, semplicemente perché la prossimità dell’era digitale ci fa sentire amici di tutti, dallo zio Gerry alla zia Anna (Moroni, chi altro).
Chi diventa famoso, accetta anche la vulnerabilità sociale: tutti ti conoscono, e chiunque ti dirà qualcosa. Ma a che prezzo?
Il rischio è quello che, continuando così, non solo possiamo entrare in contatto con qualsiasi specie umana, ma non avremo più con chi parlare nella realtà, dato che siamo tutti immersi nel periodo “ipotetico” dell’irrealtà.
Perché farsi i cazzi degli altri è ormai diventato un obbligo: devo dirti con chi sono, che sto facendo, e quanto mi sto divertendo non perché tu lo veda, ma perché io mi senta migliore di te.
La storia non è più magistra vitae, ma un frenetico cronometro da aggiornare su Instagram ogni volta che ci sembra esserci un motivo valido per vantarsi, col conto alla rovescia puntato sulla prossima puntata della nostra schizofrenia sociale a cielo aperto.
Per di più, ognuno rimane fermo nelle sue convinzioni, senza provare a utilizzare i post degli altri come un contributo alla diversità delle opinioni, ma solo un appiglio per dimostrare la validità delle proprie.
Se solo social equivalesse a una tendenza al miglioramento delle condizioni di vita e alla prossimità con gli altri esseri umani, esserlo avrebbe ancora un significato profondo nella società di oggi.
Altrimenti il rischio diventa quello di dirlo soltanto a parole, tweet e stories, configurando in realtà l’epoca meno social di sempre, intrisa di un narcisismo vincolato allo sfoggio di capi fuori di moda.
Prenderne consapevolezza sarebbe molto utile, senza considerare altrimenti il pericolo scampato di ricevere un tweet da qualcuno che non ci aspetteremmo.
Vero, Jim?