Sull’orlo dell’innocenza

La burocrazia molto spesso è un ostacolo e va migliorata. Su questo non ci piove.

Ma siccome in Italia, ogni volta che piove, si sfiora una tragedia, mi viene il dubbio che si tratti di un facile capro espiatorio.

La tempistica amministrativa, le difficoltà procedurali e i gangli moltiplicatori di leggi non possono essere la risposta ai problemi che oggi piegano il nostro Paese.

Negli anni se ne parla di continuo, in passato è stato addirittura istituito un Ministero per la semplificazione, ma, finora, risultati concreti manco a parlarne. Nelle interviste almeno.

Quindi: o la trincea comunicativa della “burocrazia come fonte e panacea di tutti i mali” è ormai scaduta e abusata, o mancano le risposte giuste.

In entrambi i casi, resta il problema di come vanno le cose. E cioè male. E finché se ne parla e basta, nemmeno velocizzare le pratiche servirebbe a niente.

Essere una frana contribuisce a creane di nuove.

Manovre culturali

Venerdì 8 Novembre, Palermo.

Un tizio apre lo sportello del furgone senza guardare chi viene alla sua destra.
Il malcapitato è colui che scrive, che si ritrova improvvisamente con uno specchietto della macchina semifunzionante.

Adirato per l’accaduto, mi rivolgo al tizio del furgone con parole come “che cazzo fai” e un altro paio di similitudini varie.

Dopo aver sfogato le mie lamentele, il tizio mi riprende gridandomi due cose:
1) “ora baaa!!! Già m’ha rittu 3 paruoli”, come se la colpa fosse la mia di lasciarmi scappare qualche parola di troppo (a lui comunque familiare) e non la sua di aprire uno sportello senza guardare;
2) “quando mi stricano la macchina a me io mica fazzu accussì”, riducendo quindi i sinistri stradali a una consuetudine per cui non è necessario infervorarsi.

Detto che comunque uno specchietto non vale una lite, mi è sembrato a quel punto di parlare con qualcuno simile a un essere umano solo perché cammina su due zampe invece di quattro.
La sua strategia difensiva verteva essenzialmente sull’alzare la voce e sul rigirare la colpa su di me, come se avessi dovuto essere io a chiedere scusa a lui per aver detto qualche parolaccia o per essermela presa.

Sarebbe bastato un “scusi, spero non sia successo nulla” per impedire a me di comportarmi da cretino (chi si arrabbia per uno specchietto, specie di fronte a uno sconosciuto malintenzionato, è un cretino. Patentato, ovviamente) e a lui di passare per un incivile qualunque.

Perché in fondo, ciò che lo accomuna agli esseri umani (oltre il bipedismo, chiaramente) è il rifuggire dalle proprie responsabilità.

Anche noi ci comportiamo così un sacco di volte: in una relazione, a scuola o con i genitori, le nostre mancanze non sono mai un’ammissione di colpa, ma diventano sempre il riflesso di errori non corrisposti attraverso lo specchietto delle proprie fragilità.

Invece di dire “tu non mi capisci”, “mi stai chiedendo troppo” o “sei troppo distante con me”, magari la soluzione sarebbe chiedersi “dove sto sbagliando”, o semplicemente accettare di non farcela e non vergognarsi per questo, senza stupide scuse o frasi che nemmeno i bambini pronunciano più.

Ecco perché nella vita si impara sempre.
Perché a volte basta un coglione qualsiasi (pardon, le parolacce no) per ricordarti chi non devi essere.

Vista così, può sembrare perfino una bella storia.
Ma solo perché il mio specchietto funziona come prima…