Il mio commento di Sanremo 2019 parte da qui, da un sincero «non mi è piaciuto». Tolta la valutazione bollente, andiamo con ordine all’analisi del Festival.
24 cantanti sono tanti, troppi, anche in termini di voti che finiscono inevitabilmente per disperdersi. Così come cantare 4 volte le stesse canzoni, probabilmente, aumenta anche lo stress e la fatica dei cantanti in gara (Arisa e Anna Tatangelo su tutti): la serata del venerdì dedicata ai grandi successi del passato era una buona strategia diversiva di Conti. Da rivedere di conseguenza anche gli orari: perché trascinarsi per forza fino alle ore piccole, spesso con l’inerzia di spettacoletti poco spettacolari?
La mancanza della scala da scendere, la scala in cui inciampare, la scala in cui sfilare, ha tolto un simbolo al Festival, rimpiazzata peraltro da gradoni traballanti simili più a lastroni di ghiaccio cadenti che a una via d’entrata allo spettacolo. Brutto vedere gli ingressi di lato. Scanzonati.
Le luci: bellissime, hanno disegnato scenografie a sé con composizioni uniche e architetture reali che hanno creato un’atmosfera calda e in linea con ciò che veniva espresso sul palco. L’importanza di un ottimo light designer.
Bisio e Virginia insieme non hanno funzionato: inutile e dannoso fare paragoni con l’anno passato, ma impossibile non notare la mancanza di una miscela completa. Nè l’uno nè l’altro sono presentatori di razza, Baglioni come da tradizione si defilava, mancava quindi qualcuno che prendesse in mano le redini dello svolgimento e non poteva, ahilui, farlo Bisio da solo.
I risultati di share sono un dato interessante, a cui forse viene data troppa importanza: cos’altro vuoi che guardi la gente, quando ogni canale sospende la propria programmazione in tempo di Sanremo? Così come appendersi addosso il merito del successo sui social, in un’epoca in cui i social sono il mezzo di comunicazione (anche broacast) più diffuso, è un po’ melenso. Se la gente guarda solo quello, di che può parlare?
Plauso alla meravigliosa orchestra, quest’anno perfetta e al naturale (il pianista che alla prima sera ha ritardato l’esibizione di Patty Pravo con Briga perché doveva far pipì): ma ci pensate che questi maestri provano da 45 giorni, e stanno 5 sere di seguito seduti su uno sgabello a sfiatarsi di continuo ed avere sempre sulle loro dita la responsabilità della musica? Mistici.
Passiamo ai cantanti: detto di una avversione cronica dei voti per la Tatangelo (nonostante bella presenza e bella voce), sorprende la bocciatura di alcuni big come Nek e Renga, penalizzati probabilmente da canzoni al di sotto del loro livello. Nigiotti meritava di scalare qualche altra posizione, mentre tutto sommato può dirsi parzialmente contento Achille Lauro, diverso per genere e tonalità e quindi una scommessa (a mio avviso, riuscitissima), acclamato da pubblico e critica; bene pure i Zen Circus, dittatori per il dirottarore. Arisa evanescente (come il suo stato di salute), Silvestri compless(iv)amente un gran risultato, anche per il messaggio che voleva mandare.
Fosse per me avrei allargato il podio a 5: con Loredana Bertè e Simone Cristicchi ancora in gara per il titolo finale, probabilmente avremmo avuto un altro vincitore. Entrambi meritavano sicuramente molto di più, per motivi diversi ma riassumibili nei tremiti al collo che hanno regalato sopra tutti. Io avrei continuato a fischiare la loro assenza dai primi posti.
3° classificato: Il Volo piace al pubblico perché gli ricorda l’antica tradizione dei cantanti del passato; a me però la loro canzone ha ricordato soprattutto quella di 4 anni fa, specialmente nell’attacco. Bravi comunque.
2° classificato: Ultimo avrebbe meritato almeno un buffetto da qualcuno, in fondo è il primo di quelli che non hanno vinto il Festival, e quindi aveva tutte le ragioni del mondo ad avercela… col mondo intero (e si è visto in conferenza). La potenza delle sua voce e il tempo interminabile della sua rincorsa emotiva gli daranno ancora tante vittorie. Continua così.
1° classificato: Mahmood è piaciuto, più di tutti. Non ci sono chissà quali complotti dietro. Un detto recita “Chi vince festeggia e chi perde spiega”. A lui è toccata la prima.
A questo punto, forse, sarebbe bene dire due parole sui meccanismi di voto, composti da:
- perditempo che cercano di sovvertire il Festival giocando con la democraticità dei 5 voti a disposizione;
- giornalisti che si trasformano in fan di uno o di un altro cantante, finendo per recitare il loro ruolo come gareggianti invece di spettatori (c’è un video in cui esultano al 3° posto, o meglio, al 1° posto mancato del Volo applaudendo e gridando “merde”): poca neutralità;
- una giuria di esperti che, in virtù della loro competenza, finisce per votare qualcosa di diverso per autocertificare la propria condizione di giurati. Della serie “io so io…”. Anche qui “tanta neutralità”: Bastianich, per esempio, è sicuramente uno esperto di gaffe su Instagram (cit. vote @Negritaband).
Probabilmente bisognerebbe cambiare qualcosa (basta guardare la discrepanza tra televoto e gli altri due sistemi per farsi un’idea), e di questo se n’è accorto anche il direttore artistico che questa mattina ha detto:
«Sono d’accordo su due linee: o il Festival viene deciso da giurie ristrette di addetti ai lavori, o questa mescolanza di tre o quattro giurie diventa discutibile. Qualsiasi direttore artistico si è trovato davanti a questo problema. C’è un atteggiamento timoroso verso la sala stampa: si pensa che togliere a critici ed addetti ai lavori questa possibilità possa suscitare ostilità. Io non so se accadrebbe davvero, ho sempre grande rispetto per la stampa, ma io penso che se il Festival vuole essere davvero una manifestazione popolare, potrebbe essere gestita solo dal televoto. A mio avviso o si sceglie una linea o si sceglie l’altra».
Chiudo così: Baglioni era meglio si fermava al primo Festival, sicuramente non a un terzo. Lui, tanto, mica lo fa per Soldi, soldi. Clap clap.