“Penso sia meglio passare per tirchi che buttare i soldi dalla finestra”.
Questa frase e’ di Ingvar Kamprad, il fondatore di IKEA, durante un’intervista rilasciata al Corriere della Sera nel 2008.
L’ottavo uomo piu’ ricco al mondo (patrimonio personale stimato in 33 miliardi di dollari) infatti non era un amante del lusso: girava con una vecchia Volvo, vestiva abiti usati “comprati se possibile al mercato delle pulci” e di certo non andava a mangiare nelle boutique del cibo.
Il suo motto era quello di fare economia risparmiando. E c’e’ riuscito.
C’e’ una bella differenza pero’ tra il risparmio avido tipico della taccagneria e quello morigerato di chi intende dare valore a ogni cosa: e’ per questo che il signor Kamprad non buttava via nulla che funzionasse ancora, come il vecchio apparecchio fax conservato nel museo Ikea di Älmhult, in Svezia, dietro suo ordine.
Questo significa riconoscere in ogni oggetto un significato che non va gettato via quando la sua funzione principale smette di essere utilizzabile, ma riuscire a trovare in ogni struttura un meccanismo capace di soddisfare ancora qualcuno. Oppure qualcun altro.
Nell’epoca del consumismo sfrenato e della cultura dello spreco, sono parole, gesti che contrastano (per eccesso) con una forza potentissima, specialmente se corroborata da quei numeri impressionanti a livello di redditivita’ aziendale.
Forse, il segreto del suo successo, si deve proprio a questa capacita’ di riuscire a guardare ogni cosa con un raggio ottico piu’ profondo, capace di dare e ridare un senso a tutto.
Pensiamo agli chef che riempiono le tavole delle mense sociali, o agli indigenti che si coprono grazie alle donazioni di chi non veste piu’ quegli abiti.
Perche’ dobbiamo per forza buttare?
Forse non riusciremo comunque a diventare miliardiari, ma di sicuro ci saremo arricchiti nel momento in cui consideremo gli anziani una risorsa da cui prendere esempio o gli esclusi una fonte di ispirazione per la loro tenacia. Perche’ e’ cosi’ che cresce una societa’, non dividendo o accantonando, ma facendo una sintesi di tutte le forze in gioco.
Facendo squadra.
In Svezia l’hanno imparato.
Non facciamoci scappare un altro segreto Mondiale.
SÌ al volo
Papa Francesco sorprende sempre tutti. Perfino chi va a chiedergli semplicemente una benedizione, e invece si ritrova sposato tempo niente.
Questo e’ proprio quello che e’ accaduto a una hostess e uno steward in servizio nel volo papale verso il Cile.
I due giovani si sono avvicinati al Pontefice per scattarsi un selfie, e chiacchierando ne e’ venuto fuori che avrebbero voluto sposarsi in futuro.
Il candido Francesco, pur di non lasciarsi sfuggire il colpaccio, ha pensato di mettere subito le cose in chiaro: sai com’e’, di questi tempi e’ un attimo ritrovarsi single per scelta, del prossimo.
Cosi’ ha preso e ha celebrato il matrimonio in alta quota, tanto di bianco vestito gia’ qualcuno c’era.
Prima pero’ si e’ accertato se “fossero sicuri”: mica poteva rischiare di fare un torto al superiore giusto nel regno dei cieli.
La cosa figa di tutto cio’ e’ che Francesco non ha avuto bisogno di alcuna autorizzazione per convalidare il sacro vincolo: e’ bastato un foglio, la sua firma e qualche latinorum qua e la’. Altro che mesi e mesi di corso prematrimoniale, scelta degli abiti e regalo ai testimoni.
L’unica nota dolente e’ stato il ricevimento: il Pontefice avra’ gradito biscottini e brioscine confezionate come pranzo nuziale?
In fondo, non e’ poi cosi’ importante. Almeno non quanto le parole a fine cerimonia del Papa: “Il matrimonio e’ come gli anelli: se sono troppo stretti sono una tortura, se troppo larghi si perdono”. Capito sposini a fisarmonica?
Massime francescane sugli orafi a parte, ormai fra matrimoni nei cieli e parti alla Conad c’e’ giusto un po’ di confusione su cosa aspettarsi: magari inventeranno le lauree nei centri commerciali (tanto per fare un po’ di tirocinio dietro le casse) e i funerali all’Ikea (letto a soppalco: crepi in due, paghi uno).
Chi lo sa.
Come diceva San Gabbani “elaboriamo il lutto con un Amen”.
Amen ????????